E alla fine c’è la vita di Davide Rossi – Recensione

Buon pomeriggio lettori,
eccoci di nuovo qui insieme per presentarvi un nuovo libro, stavolta ci portiamo più vicino a noi, i protagonisti di questo romanzo sono dei giovani che frequentano l’università e che si trovano ad affrontare situazioni, esperienze ed emozioni come noi. Un libro nel quale possiamo rispecchiarci, sentirci vicino e che sono sicura dobbiamo leggere. Di cosa sto parlando?
Oggi vi presenterò un nuovo libro, ovvero “E alla fine c’è la vita” di Davide Rossi edito da Apollo Edizioni, parte della collana uno, due, tre… ciak!
Andiamo a scoprire qualcosa in più insieme…

 

 

 

Titolo: E alla fine c’è la vita

Autore: Davide Rossi 

Editore: Apollo Edizioni

Collana: Uno, due, tre… ciack!

Genere: Narrativa

Serie: No

Pagine: 280

Data di uscita: 10 maggio 2018)

Finale: Autoconclusivo

 

 

 

«Marika è ben vestita, elegante, pronta per andare alla festa. Si profuma mentre si guarda allo specchio in bagno. Controlla che il vestito sia a posto un’ultima volta ed esce dalla stanza. Va al computer e scrive su Facebook: “Stasera grande serata”. Va sulla pagina del suo ex ragazzo e trova delle foto di lui con Agnese. Scuote la testa, incredula, e chiude furiosamente il computer. Il cellulare sul comodino vibra. Lo prende e risponde…»

 

 

Siamo giunti al momento di cui dobbiamo parlare del libro, ma prima di ciò voglio fare delle piccole premesse perché penso che è opportuno farlo. Ho letto questo libro senza conoscere l’autore o il suo stile, uno dei modi che ho adottato quando leggo nuovi autori è quello di avere la mente aperta, di non frenarmi davanti ai generi che di solito non leggo e rimangono aperta ad ogni possibilità. E alla fine c’è la vita di Davide Rossi è il primo romanzo che mi è stato proposto di leggere, pur se si discosta al mio genere, dato che si tratta di una sceneggiatura ho trovato tanti punti a suo favore.
Come dice lo stesso autore con questo libro lui ha unito i suoi due mondi quali cinema e scrittura, la sua esperienza ci ha portato qui, all’unione di due percorsi che hanno creato “E alla fine c’è la vita” e io… concordo con questa definizione.

 

Da dove vogliamo iniziare? Beh, ovviamente dai protagonisti soprattutto perché c’è ne sono diversi, ognuno con i propri caratteri e le proprie storie. Questo è una delle cose che mi è piaciuto e allo stesso tempo no, nello senso che è bello conoscere la storia d’un personaggio, ma talvolta quando c’è ne sono troppi risulta difficile da seguire.
Come la trama stessa afferma ci sono quattro protagonisti che sono studenti universitari di Pavia, sono Marco e Mario i due ragazzi e Marianna e Marika le due donne e poi, tra di essi risalta anche il professore di etica Tacchi, anche se della sua laurea né dovremmo parlare. Una caratteristica che mi è piaciuta è stata la loro età, il loro ruolo di studenti e quello che più si avvicina a ciò che possiamo comprendere e talvolta rispecchiarci.
Sono ragazzi e come tali la loro vita gira intorno all’università e alle serata con amici, ai divertimenti che per molti potrebbero essere una pizza e/o spararsi una stagione intera del proprio telefilm preferito e per altri droga e sesso. Una domanda nasce spontanea, questi personaggi sono rappresentati al meglio?
Direi si e no perché se da un’analisi di partenza da questa sensazione, dall’altra analizzando meglio ci si rende conto che ci sono sfumature che ci aiutano a comprendere ma non del tutto analizzate. Sono giovani e come tali sono intraprendenti, vogliono vivere la vita e fare tutte le esperienze che essa gli pone davanti e per loro significa tutto, senza fermarsi a riflettere delle conseguenze.
Il tutto inizia nel 2009, sullo sfondo vediamo l’Università di Pavia, luogo che accompagna i protagonisti e che fa parte delle loro vite, le scene che si svolgono non ci rendono molto partecipi, possiedono poco pathos e ci ingannano quando mancano certi elementi che credevamo fondamentali.

 

La storia che l’autore vuole raccontarci è bella, non lo nascondo, ma tuttavia lo stile scelto – quello della sceneggiatura- non me lo fa apprezzare in pieno, perché penso che spesso i distacchi, le scene con poche emozioni privano il libro di qualcosa.
Mi piace scoprire nuovi modi di avvicinarmi alla lettura, di scoprire nuovi autori, ma mi dispiace quando un libro che mi coinvolge ha delle pecche che, senza di esse sarebbe davvero un’incredibile opera.
Abbiamo della suspense, avviene all’incirca durante una settimana quando i quattro protagonisti si trovano a vivere eventi drammatici e che li porterà a confrontarsi, a mettersi in gioco e in dubbio tutto quello che credevano. I loro destini cambieranno, una cosa che appureremo però solo alla fine del libro, qualcosa che lascia nel lettore quel sapore dolce e amaro, per non aver soddisfatto in pieno le sue aspettative.

 

Vi avevo anticipato che i quattro ragazzi si trovano ad affrontare degli eventi importanti, che li segnano, così questi momenti vedono i minuti passare e farsi in ore fino a quando la settimana non si completa.
La scelta dell’autore è stata quella di far sì che essa si chiudesse insieme alla narrazione dominata dai dialoghi e dal cambiamento della scena, purtroppo però arriva in poche frasi. Questo romanzo si avvicina tantissimo alla sceneggiatura di un film e, che pur avendo le basi per un romanzo non è quello che lo contraddistingue perché persino le scene narrate sembrano mancare di qualcosa.
Non riesco a sentirmi vicino ad uno dei personaggi, mi hanno fatto riflettere e questo non lo nego, ma seppure posso capire alcuni momenti non ho accettato le loro scelte o le decisioni che hanno preso lasciandomi basita. Ovviamente c’è anche un momento che sembra da clichè, ma anche qui il suo sviluppo ci ha colti un po’ all’improvviso.

 

Ebbene, l’ultima tappa è quella che mi piace di meno, ovvero parlare delle pecche del libro e, so anche che già alcune sono state evidenziate. Come ho già accennato questo libro mi è piaciuto, ma la struttura del romanzo è stata difficile d’apprendere perché questo stile a mo di sceneggiatura comporta delle mancanze di emozioni, rendendolo molto telecronaca. Non posso nascondere che di dialoghi c’è ne sono, ma sono bloccati dal fatto che sono introdotti dal nome di chi parla rendendo un po’ fastidiosa la lettura, facendo concentrare il lettore altrove e non dandogli tutti i mezzi per apprezzarlo in pieno.

 

 

Lo consiglio?
Sì, ma solo se il lettore si avvicina con la consapevolezza di leggere un romanzo con carattere di sceneggiatura.


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